
Il Muro
Pascale Marthine Tayou, 2001
“Il sacchetto di plastica è un elemento popolare che appartiene a tutto il mondo, attraversa le frontiere, è qualcosa di universale nella sua utilità e nella sua inutilità.
”
Chiamato da Jérôme Sans in occasione della VI edizione di Arte all’Arte, l’artista Pascale Marthine Tayou ha scelto come spazio per il suo lavoro il campino di calcio di San Gimignano.
“Pascale Marthine Tayou ha scelto per la sua installazione il campino di calcio di San Gimignano, luogo pubblico e simbolico per la vita sociale del paese. Sulla rete che delimita lo spazio migliaia di sacchetti di plastica, raccolti dall'artista nei vari viaggi intorno al mondo, appena fissati tra le maglie. Un gesto semplice, che appartiene a tutti. Giocando sull'effetto della quantità e moltiplicando all'infinito la stessa azione provoca un atto di pubblicità involontaria. È poi l'occasione per parlare del viaggio, del nomadismo, lasciando una traccia dei paesi visitati, un segno.
Un immenso quadro volante che ondeggia al vento, installazione effimera da rinnovare all'infinito, non appartiene già più all'artista e può nutrirsi di molteplici contributi.”
Jérôme Sans, “Arte all’Arte" VI”, 2001
Intervista di Jérôme Sans e Pier Luigi Tazzi
Come è nato il tuo progetto Plastic Bags nel contesto del paesaggio toscano?
Nasce dal desiderio di ritrovarmi in un luogo in sintonia con me. L'altra faccia della città, come la visione della Toscana, una visione turistica, un ambiente che viene fruito come Disneyland che d'altra parte è un mondo di plastica, superficiale. In un ambiente così mi interessa il lato ludico e in Toscana è forse la vita della gente che la abita, non quella degli stranieri. Sono i suoi abitanti a essere stranieri come me. Questa città che sembra aperta è in realtà una prigione, i cittadini sono ostaggi del loro stesso ambiente. All'inizio credevo che Arte all'Arte volesse dare l'immagine di una Toscana ancora più bella e di essere stato invitato per sostenere la politica turistica della regione, e questo non mi interessava affatto. Al contrario, mi sembrava importante sapere se c'era ancora qualcuno che viveva qui e proporre a lui il mio gioco plastic bags.
Come sei arrivato ai sacchetti di plastica?
Il sacchetto di plastica è un elemento popolare che appartiene a tutto il mondo, attraversa le frontiere, è qualcosa di universale nella sua utilità e nella sua inutilità. La funzione al tempo stesso borghese e proletaria del sacchetto mi interessa perché è paradossale. Nella sua funzione borghese il sacchetto è utile per ciò che contiene, me ne infischio del valore del contenuto. Voglio andare oltre questa funzione utilitaria per immaginare un'altra storia. Si è così abituati a vederseli proporre a ogni acquisto che quando un venditore non lo fa ci sente disarmati, persi, nudi. È questa impressione banale che mi interessa. Prendo questo momento di smarrimento e lo sviluppo nell'arte plastica. L'aspetto proletario del sacchetto interviene una volta che lo si è svuotato dal suo contenuto. Povero, non serve più a niente, è servito al suo scopo, in attesa di un altro momento, un momento borghese. È solo un oggetto in permanente transito, in movimento verso altre destinazioni. È l'inutilità, il contenuto del niente, il niente al servizio del pieno.
Dunque parli del vuoto?
No, perché sono interessanti i momenti di abbandono, di perdita di velocità. Il sacchetto diventa allora un attore importante, una specie di superstar, perché arriva a interrogare le due estremità di questa stanchezza, di questo vuoto intorno al potere. È un'ottima definizione della mia personalità: io sono un sacchetto di plastica, pieno e vuoto al tempo stesso. Magari ci sarà chi davanti a questo lavoro dirà che sono solo sacchetti di plastica. Il pubblico potrà per tutto il tempo della manifestazione attaccare i propri sacchetti e ingrandire questo enorme affresco. Ma non si tratta per questo di un lavoro interattivo, piuttosto un progetto unlimited.
Questo muro di sacchetti di plastica crea un paesaggio "inecologico", che vibra e gioca con il vento.
C'è una certa ironia. Si produce uno choc dal contrasto tra il paesaggio di sacchetti e quello toscano a cui si giustappone. Non sono contro l'ecologia, al contrario. Mi piace la plastica e ho voluto semplicemente affrontarla come esperienza: all'inizio non avevo idea della musicalità che produce con il vento. Anche se quest'opera comprende migliaia di sacchetti, ne sarebbe bastato uno solo. Per tornare alla questione dell'ambiente, non intendo sviluppare una proposta teorica, preferisco restare 'leggero' e spingere il pubblico a riflettere da solo per trovare la sua personale chiave di lettura. Questo progetto va al di là delle mie attese. Ed è questa diversità che mi interessa. La densità del lavoro stesso sparirebbe se tentassi di confrontarmi a essa, alla leggerezza del progetto. Sacchetti di plastica a parte, non si tratta di spiegare le cose, ma di farle.
Hai scelto la verticalità del paesaggio, del campo da gioco. Perché?
In Camerun, quando cala la notte, i guardiani dei supermercati segnano il confine del territorio con un filo sul quale sono attaccati dei sacchetti di plastica. Segnalano un divieto di accesso, una specie di "attenti al cane”.
E’ la prima volta che usi questo materiale?
Ho usato a volte sacchetti di plastica, sia nelle performance che nelle installazioni, ma allora mi interessava l'effetto visivo. Oggi con questo lavoro è diventato un soggetto di conversazione, l’ho guardato un po' più da vicino. Fa parte del mio ambiente, un oggetto che potrei difendere, proporre, sviluppare. A forza di usarlo ho trovato un'altra fonte di ispirazione, un altro gioco.
Quest'opera parla anche della fluidità inerente ai sacchetti di plastica.
Il sacchetto è un oggetto flessibile, morbido. È uno sportivo perfetto: salta, nuota, vola. È un "no bags land”. Una grande quantità dei sacchetti usati a San Gimignano proviene dalla mia collezione personale, formatasi via via con i miei spostamenti nel mondo. Non avevo mai pensato di usarli a fini artistici. È un caso della vita che finiscano dentro uno spazio parrocchiale in Toscana.
È l'aspetto sportivo dei sacchetti che ti ha spinto a scegliere un campo da calcio per questo lavoro?
È il mio personale lato sportivo, il mio gusto per il gioco che mi ha spinto naturalmente a questa scelta... I sacchetti non mi dominano. Cerco semplicemente di raccontare una storia, di trascrivere il mio racconto partendo da una realtà: il sacchetto.
“Arte all’Arte VI”, 2001
Altri progetti di Arte all’Arte VI
Credits
Pascale Marthine Tayou
Plastic Bags, 2001, San Gimignano, Arte all’Arte 2001
courtesy Associazione Arte Continua – San Gimignano (SI)
foto Attilio Maranzano