Mambo a Marienbad

Marina Abramovic, 2001

Non basta che gli artisti facciano una performance. Oggi è il momento per il pubblico di abbandonare drasticamente il ruolo di silenzioso testimone e diventare partecipe attivo.
— Marina Abramovich intervista con Jérôme Sans e Pier Luigi Tazzi, “Arte all’Arte VI”, 2001

In occasione della VI edizione di Arte all’Arte il curatore Pier Luigi Tazzi ha chiamato a partecipare Marina Abramovic la quale ha scelto di realizzare la sua opera Mambo a Marienbad all’interno dell’ex Ospedale Neuropsichiatrico di Volterra.

“Marienbad (il riferimento al film L’année dernière à Marienbad di Alain Resnais non è casuale) è una della grandi installazioni/performance che caratterizzano da circa un decennio l’opera di Marina Abramovic.

Progettata espressamente per il padiglione abbandonato Charcot dell’ex-Ospedale Neuropsichiatrico di Volterra, vive dell’atmosfera del luogo, un luogo denso di memorie inespresse, basti solo pensare al fatto che quando l’Ospedale era attivo era arrivato a contare fino a 5.000 presenze.

Abramovic richiede e sollecita la partecipazione del pubblico a cui l’artista offre un’esperienza, di cui lei si pone allo stesso tempo come celebrante e oggetto sacrificale, diva e clown, tramite e soggetto di passione, oggetto del desiderio e soggetta al desiderio che ne suggerisce mosse e atteggiamento, forme e figure.

In presenza e in assenza. Qui il rituale prevede un percorso attraverso l’edificio verso il punto dell’evento: percorso ed evento si equivalgono e solo la diretta esperienza individuale dona all’opera la sua forma. La partecipazione non elimina la differenza dei ruoli, ma i termini di passività e attività, componenti essenziali dell’estetica dell’Occidente, subiscono quell’alterazione necessaria alla realizzazione della struttura del desiderio e delle passioni.

Come in altre sue opere, si produce uno scarto di doppia natura che condiziona la qualità dell’esperienza: in questo caso si tratta di un cambio di gravità, che provoca un rallentamento del passo, e un ripescaggio da un passato che ha il sapore non tanto della nostalgia quanto dell’attualizzazione di un paesaggio e di un clima che appartengono a un’Italia da tempo scomparsa, così come dimenticate e fagocitate dal tempo sono le passioni di quelli che questi luoghi hanno abitato nella reclusione che la malattia e il suo trattamento ai malati imponeva.

Quel che conta è la durata, il permanere dell’immagine oltre il suo stesso consumarsi dentro il tempo, la bontà e la bellezza dell’esistere oltre la sofferenza del loro inesorabile trascorrere.”

Pier Luigi Tazzi, “Arte all’Arte VI”, 2001

Intervista di Jérôme Sans e Pier Luigi Tazzi

Qual è il significato di Mambo a Marienbad?

Ho fatto vari sopralluoghi in zone diverse di Volterra, ma i luoghi che più mi sono sembrati interessanti sono stati due padiglioni dell’ospedale psichiatrico ormai in disuso e destinati a un lento decadimento. Il primo edificio che ho visitato era enorme, con lunghissimi corridoi che mi hanno subito ricordato L’anno scorso a Marienbad. Nell'edificio tutto era simmetrico e mi è venuta in mente una frase detta da uno dei protagonisti del film: "Ho camminato in linea retta e mi sono perso”. Questo lavoro è sulla memoria e su quanto il pubblico proietterà delle proprie storie su di essa. L'atmosfera del luogo è forte, pesante, quasi morbosa. In questo palazzo venivano curati i pazienti affetti da isteria con vari metodi che oggi ci appaiono come vere e proprie torture: elettroshock, immersioni prolungate in acqua gelata, pazienti legati nelle camicie di forza, c'è stato anche un malato legato per dodici anni, in completo isolamento in una stanza senza finestre... Una volta ammessi in questo ospedale i pazienti vi trascorrevano quasi tutta la loro vita.

I pazienti scrivevano lettere ai familiari, al marito, alla moglie, ai figli, agli amanti, al direttore dell’ospedale ea Dio. Tutte lettere che non hanno avuto risposte perchè non sono mai state spedite. Sulle pareti, lungo i corridoi, scritte con le unghie ci sono frasi, messaggi, poesie. Oggi l'edificio è abbandonato. Non ci sono più pazienti. Ma la loro presenza è ancora viva. Mambo a Marienbad cerca di portare il pubblico a immedesimarsi con quanti hanno abitata questo luogo. Ho costruito una guida di ferro per tutta la lunghezza del corridoio principale fino a una pedana, anch'essa di ferro. All'ingresso viene chiesto al pubblico di togliersi le scarpe e di indossare "scarpe da mambo" con la suola magnetica. Queste sono le istruzioni: entra nel corridoio e scivola sulla guida di ferro senza sollevare i piedi fino alla pedana di ferro. Là, sulla pedana, ci sono io che ballo ininterrottamente indossando un abito rosso, scarpe da ballo a tacco alto con la suola magnetica sulle note di Mambo Italiano. Questa musica allegra si diffonde per tutto l'edificio. È mia intenzione scatenare un puro paradosso nel pubblico. Dopo l'inaugurazione le istruzioni per il pubblico sono diverse: sta adesso al pubblico salire sulla pedana e ballare il mambo.

È un modo per dire "ora fatelo da soli"?

Scivolare con le calamite sotto le scarpe è molto difficile, trasforma il senso di gravità e soprattutto provoca un rallentamento nel movimento, aumenta così il tempo per la percezione, la riflessione, per assorbire le emanazioni dello spazio circostante. Il pubblico non è spettatore. È un elemento attivo, partecipe di un'esperienza. Scivolando sulla guida di ferro lungo l'interminabile simmetria del corridoio si possono guardare a destra e a sinistra le varie stanze. Si tratta per lo più di stanze vuote, sporche, con calcinacci e polvere sul pavimento che sembra coperto di neve. Poi in una di esse, quasi alla fine, inaspettatamente, ecco un uomo seduto su una sedia con in testa un altissimo cappello a cono, a torso nudo che muove le labbra mentre legge in silenzio una pila di lettere mai spedite. Non c'è sosta, è solo un'apparizione.

Come colleghi quest'opera con le tue precedenti performance?

Prima di tutto è diverso lo spirito del tempo. Il pubblico degli anni Settanta era il silenzioso testimone del processo della performance. Dopo trent'anni di esperienza performativa sono arrivata alla conclusione che il solo cambiamento profondo che una persona possa provare avviene tramite la sua esperienza personale. Non basta che gli artisti facciano una performance. Oggi è il momento per il pubblico di abbandonare drasticamente il ruolo di silenzioso testimone e diventare partecipe attivo.

Mi piace portare il principio della musica nella performance. Se prendi uno spartito di Bach puoi oggi eseguirlo quando e dove vuoi. Puoi farne una versione esatta o un campione, una versione techno. Possiamo vedere la performance come uno spartito che il pubblico può usare.

Inoltre c'è un altro metodo che mi piace usare per rapportarmi con il pubblico, il contratto. Ho proposto al pubblico un contratto nell'opera In between: mi dovevano dare la loro parola d'onore di trascorrere 40 minuti nel luogo della performance, senza andarsene; se non firmavano il contratto non potevano entrare. È uno scambio molto semplice. Io do’ loro la mia opera se loro danno a me il loro tempo. Mi è venuta questa idea dalla frustrazione che mi provoca il vedere come il pubblico guarda le opere. Viviamo in un tempo in cui non c'è tempo. Gli artisti oggi fanno video installazioni dove cattureranno al massimo per un minuto l'attenzione dello spettatore, il tempo di un'occhiata fugace. Come dice Paul Virilio "siamo davvero in una cultura zapping". Lo scopo delle "scarpe da mambo" è un ulteriore tentativo di far rallentare il passo.

“Arte all’Arte VI”, 2001

Altri progetti di Arte all’Arte VI

Credits

Marina Abramovic,
Mambo a Marienbad, 2001, Volterra,
Arte all’Arte 2001,
courtesy Associazione Arte Continua – San Gimignano (SI),
foto Ela Bialkowska.