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Progetto Speciale: Casa della Musica
Loris Cecchini, 2001
“Mi è piaciuto moltissimo realizzare quest’opera perché mi ha permesso di occuparmi del progetto nella sua totalità, dalle pareti al palcoscenico, il bar, il guardaroba, la grafica del logo, i tavoli, tutto quello che passa come immagine di un posto.
”
In occasione della VI edizione di Arte all’Arte è stato scelto dai curatori Jérôme Sans e Pier Luigi Tazzi il progetto di Loris Cecchini per “Sonar - La Casa della Musica” a Colle di Val d’Elsa.
“Loris Cecchini, vincitore del concorso per la realizzazione di Sonar, la Casa della Musica, realizza in collaborazione con Alessandro Bagella un progetto ambizioso, che interessa l’esterno e l’interno dell’edificio, sviluppandosi per 200 m2. Sulla facciata Cecchini gioca con un rivestimento in linoleum, all’interno dominano le linee curve, metafora delle onde sonore, nell’“affresco” che corre lungo tutte le pareti, nel banco mixer e nel bancone del bar.
Un sottile disegno bianco su grigio che proviene da un software di progettazione tridimensionale, l’asse XZ (piano orizzontale) al quale sono state apportate distorsioni prospettiche e filtri, così da avere un trompe-l’œil azzerato, di spazio prospettico continuo.
La percezione dello spazio grafico è accentuata dall’uso di lampade di Wood, che mettono in risalto lo sviluppo del disegno sulle pareti, creando l’illusione ottica di uno spazio dilatato in profondità e larghezza.
Un nuovo gioco di materia e forma, un esempio di come l’arte contemporanea riesca a interagire con l’architettura esaltandone e sottolineandone l’atmosfera trasformando lo spazio in un “luogo”, in cui arte visiva e musica avranno un incontro continuo, immediato, e soprattutto permanente.”
Jérôme Sans, “Arte all’Arte VI”, 2001
Intervista di Jérôme Sans e Pier Luigi Tazzi
Quanto e come sei interessato alla cultura elettronica?
La trovo interessante sotto diversi aspetti. In primo luogo per le qualità di modifica percettiva indotte dalla virtualità, nella lettura e nell'assorbimento del referente reale: questo avviene su vari livelli, riferito sia agli apparati visuali che al suono.
Nella virtualizzazione così come nella dimensione reale, lo spazio e gli oggetti che lo connotano sono presenti spesso in egual misura, ma nel primo caso la dimensione bidimensionale dello schermo genera una distanza e un allontanamento rispetto alle qualità fisiche della realtà circostante: quello che mi interessa è questa sorta di perdita e di rilettura filtrata resa tramite l'esperienza visiva usuale, senza l'utilizzo di mezzi tecnologici particolari come occhiali 3D o datagloves.
Qual è stato il tuo approccio nel realizzare questo progetto alla Casa della Musica?
Mi sono immaginato una scatola musicale dove si ha la percezione di uno spazio diverso attraverso un disegno che rappresenta una specie di oceano di onde sonore ma allo stesso tempo una sorta di paesaggio infinito nel suo azzeramento. L'idea nasce dai software di progettazione tridimensionale usando l'asse orizzontale XZ come spazio aperto a varie possibilità, una zona in cui il pubblico prendesse corpo in un ambito astratto progettuale, ma anche direttamente legato all'infografica. Così è nato l'interno; per l'esterno l'ispirazione è abbastanza simile perché pensavo a un processo di renderizzazione della superficie, passaggio base per chi lavora con il digitale. Il rendering è la qualità di superficie applicata all'elemento progettuale: quando si disegna un'auto, un telefono, un'architettura, nella fase conclusiva di visualizzazione si applica un rivestimento o un colore all'oggetto; qui l'idea era portare nello spazio reale una qualità plastica che ricordasse una specie di giocattolo, come un oggetto uscito dalla scatola dei Lego.
Che rapporto c'è tra questo lavoro e le opere in gomma o le fotografie per le quali sei ormai noto?
La scelta della gomma come uno dei materiali base nel mio lavoro rimanda all'effetto di rivestimento, un rivestimento come pelle che ricopre e diventa l'oggetto in questione. In questo progetto ho usato con la stessa modalità tubi industriali in plastica che aumentano la objecthood di tutta l'architettura. L'interno invece è più distante dai miei lavori fotografici che comunque si basano sul principio di costruire un'immagine virtuale tramite modelli. In entrambi i casi il riferimento alla superficie è forte: nel caso della Casa della Musica diventa spazio tridimensionale, ma anche superficie da comporre come una pagina di grafica. Mi è piaciuto moltissimo realizzare quest'opera perché mi ha permesso di occuparmi del progetto nella sua totalità, dalle pareti al palcoscenico, il bar, il guardaroba, la grafica del logo, i tavoli, tutto quello che passa come immagine di un posto, creando così un legame tra il mio modo di fare arte e delle funzioni pratiche che sono più legate all'utilizzo previsto dal design.
Come lavori? Usi soltanto il computer?
Tutto è nato e si è sviluppato al computer. Ho trovato straordinaria la trasformazione di tutti questi elementi che assumono un peso fisico e divengono reali dallo schermo di un portatile. Il passaggio alla gravità e al peso della materia provenienti dai movimenti fluidi dello schermo bidimensionale. È un po' la stessa trasformazione che cerco di rendere con le sculture, anche se queste sono prelevate dalla realtà e fanno un percorso inverso, in un certo senso vengono virtualizzate nell'ambito della realtà fisica. Attraverso questo lavoro ho cominciato a capire meglio l'architettura e come gli architetti oggi possano sviluppare progetti totali, dalla misurazione dei componenti alla qualità della forma che porta al risultato finale. Da calcoli astratti a una solida realtà. Parlano per esempio di architettura liquida e una volta usciti dallo schermo gli oggetti architettonici acquistano direttamente peso. Per me poi è stato fondamentale avere un ruolo riconosciuto dal committente, compreso a livello politico, cosa abbastanza rara in Italia. E poi è stata una specie di sfida fin dall'inizio visto che il mio primo progetto si limitava al wall drawing.
A volte nei tuoi lavori precedenti c'era uno scarto di scala, ora sembra che tu abbia aggirato l'altra via.
Lo scarto di scala è in qualche modo riferito a un'idea di modellizzazione della realtà, portando su un piano di paradosso visuale e di revisione dei modelli oggettivi che conosciamo bene e a cui siamo abituati. Allo stesso tempo non ha niente a che vedere con i giocattoli giganti di Oldenburg e forse ha molto a che vedere con certa architettura olandese di oggi. O, in modo diverso, al set di un film. Un palcoscenico aperto pronto per ogni immagine o colonna sonora.
“Arte all’Arte VI”, 2001
Altri progetti di Arte all’Arte VI
Credits
Loris Cecchini
Casa della Musica – Sonar
Colle di Val d’Elsa, progetto speciale per Arte all’Arte 2001
courtesy Associazione Arte Continua – San Gimignano (SI)
foto Elsa Bialkowska.