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Illuminated Sanctuary of Empty Sins
Nari Ward, 2001
“Voglio che per la mia opera l’inceneritore sia un luogo di dialogo. Sollevare questioni legate alla moralità, alla mortalità e alle responsabilità, per questo ho usato la storia indesiderata del luogo che è immondizia, e la metafora del santuario come luogo di incontro.
”
In occasione della VI edizione di Arte all’Arte Pier Luigi Tazzi ha chiamato a partecipare l’artista giamaicano Nari Ward il quale ha scelto come spazio per il suo lavoro l’inceneritore di Poggibonsi.
“Incastonato nel tipico paesaggio toscano si eleva in tutta la sua necessaria incongruenza un inceneritore tecnologicamente sofisticato. È questo il luogo scelto da Nari Ward per la sua opera, una grande scultura praticabile che ha come base un terrapieno che sorge accanto all’inceneritore e che è in effetti una precedente discarica coperta: copre ciò che è residuo dei nostri consumi, dei nostri bisogni e dei nostri desideri bene o male soddisfatti, e che ora non vogliamo vedere, che abbiamo voluto rimuovere dall’orizzonte del nostro sguardo, pur essendo consapevoli della sua imbar
È già questo parte essenziale delle tematiche affrontate da Nari Ward: che cosa la cultura attuale sceglie di conservare e che cosa sceglie di eliminare dalla propria memoria storica, che cosa viene deciso di sacrificare senza alcuna patente di sacralità e attraverso un processo di riduzione del valore e della dignità di ciò che comunque è stato, qual è e in che consiste la tossicità dei residui delle nostre produzioni e dei nostri consumi.
L’opera consiste in un camper con le pareti di alabastro bianco traslucido con il muso deflagrato e sepolto in un ammasso di residui ferrosi prodotti dall’inceneritore. Al suo interno si dispiega il santuario. Alle pareti sacchetti di teflon, il materiale assolutamente impermeabile usato per contenere i residui tossici dell’inceneritore, come gli ex-voto in una cappella votiva. In mezzo sedili fatti di copertoni d’auto.
Sul fondo l’altare semicircolare in ferro battuto – un omaggio anche questo, insieme all’alabastro, all’artigianato locale -, su cui sono accese innumerevoli candele rosse. Santuario dunque, debitamente orientato in direzione est-ovest, come luogo di sosta e di contemplativa autoriflessione, scena di un rituale senza officianti, ma anche simbolico e dislocato ventre sacrale della macchina distruttrice dei rifiuti, tempio etico dedicato alla mortalità ai suoi processi.”
Pier Luigi Tazzi, “Arte all’Arte VI”, 2001
Intervista di Jérôme Sans e Pier Luigi Tazzi
In che cosa consiste la tua opera?
Si tratta di un caravan in alabastro che sembra essersi arenato in un ammasso di detriti. Nel caravan ci sono sgabelli fatti con i copertoni, un tavolino pieno di ceri e sacchetti pieni di mais, frumento e avena. Ho scelto di lavorare con un caravan perché quella dei caravan è una delle maggiori produzioni di Poggibonsi. Perché ho scelto Poggibonsi? Perché è una città industriale andata distrutta quasi completamente durante la Seconda guerra mondiale, è davvero ironico che la loro industria principale produca case mobili. Il sito dell'opera è una collinetta adiacente all'inceneritore, spazio scelto perché ha una sua storia mai rivelata. La collinetta-discarica è formata da materiale accumulato e sepolto che si decompone e torna alla natura. È un processo normalissimo concentrato e reso sistematico. Voglio che per la mia opera l'inceneritore sia un luogo di dialogo. Sollevare questioni legate alla moralità, alla mortalità e alle responsabilità, per questo ho usato la storia indesiderata del luogo che è immondizia, e la metafora del santuario come luogo di incontro.
La scelta del luogo è molto interessante perché proponi uno scenario toscano dietro le quinte, una parte nascosta davvero reale e contemporanea. Somiglia un po' al Centre Pompidou. Ma in questo luogo cosa non è stato ideato come palcoscenico?
Questo è un luogo che si cerca di negare, ma è un luogo rilevante per moltissime ragioni. Penso sia molto importante portare alla luce delle cose per permettere alla gente di riflettere sulla propria vita. E quest'idea della luce è fondamentale per l'opera e mi riferisco alla luce del fuoco dell'inceneritore, alla luce del sole e alla luce delle candele all'interno del santuario.
I detriti sono sempre stati un materiale centrale del tuo lavoro, ma non hai mai unito ai rifiuti un materiale prezioso come l'alabastro. Come vedi questo cambiamento?
L'alabastro è un materiale che ha molto a che vedere con la luce, diffonde la luce ed è proprio questa alterazione che mi interessa perché produce un'atmosfera davvero speciale. È molto importante trovare un equilibrio tra il buio e l'apparente connotazione negativa dei residui dell'inceneritore da un lato e, dall'altro, uno spazio più luminoso e contemplativo.
L’uso delle candele e dell'alabastro non ha una connotazione funerea, soprattutto se in abbinamento con un inceneritore?
Eesattamente per questo che ho voluto che la mia opera avesse la forma di un caravan. Come anche tu dici il caravan rimanda al concetto di piacere e di svago, alla transitorietà. Cosi il concetto di movimento è fondamentale per quest'opera, anche a livello visivo; una forma che si muove in un'altra, attraverso riferimenti analoghi rafforza l'idea di trasformazione.
L'alabastro è usato per produrre statuine e altri oggetti kitsch: ora farci addirittura un caravan non è un processo affine al kitsch?
Sono d'accordo. Non trovo che sia kitsch più che giocoso. E come un grosso giocattolo, mi piace quest'idea perché lo libera dalla gravità della morte. Lavorare con gli addetti all'inceneritore è stata un'esperienza straordinaria che mi ha permesso di assistere a una potente trasformazione utilizzando il fuoco che, nonostante in questo processo su scala industriale, mantiene una certa intimità con la materia, cioè l'inceneritore è una macchina che cancella, ma lascia delle tracce di riconoscimento.
Che rapporto hai con il "bricolage" e soprattutto con quello degli afromericani? L'arte del bricolage non è ancora l'arte degli schiavi?
Per me bricolage è prendere un materiale e dargli una funzione che non ha normalmente. E’ un processo molto intelligente perché implica un livello molto alto di invenzione. Mi piace la sfida di cambiare le aspettative di qualcuno spiazzandolo con nuove combinazioni.
“Arte all’Arte VI”, 2001
Altri progetti di Arte all’Arte VI
Credits
Nari Ward
Illuminated Sanctuary of Empty Sins, 2001
billboard, Poggibonsi, Arte all’Arte 2001
courtesy Associazione Arte Continua – San Gimignano (SI)
foto Elsa Bialkowska.