120 giornate

Damián Ortega, 2002

Il progetto consiste nell’alterazione di centoventi bottiglie di Coca Cola, trasformate una ad una nel laboratorio di modellatura del cristallo ‘Vilca’ di Colle di Val d’Elsa, in Toscana.

La scelta della bottiglia risponde, a parte la familiarità e l’omogeneità che si ha con la sua forma in tutto il mondo, al fatto che implica una serie di postulati di marketing come un prodotto che reca fiducia per la sua stabilità, igiene, continuità, distribuzione, etc.

Un altro aspetto d’interesse sta anche nella tradizionale associazione tra la forma della bottiglia e il corpo femminile.

Il processo di deformazione attuato in maniera artigianale su ogni bottiglia conferisce a queste un carattere di irregolarità e soggettività.

Un aspetto fondamentale del lavoro è stato che gli artigiani hanno potuto improvvisare e portare delle soluzioni a ogni bottiglia, grazie alla loro esperienza, abilità e conoscenza del materiale.

Mi interessa la relazione che la bottiglia può implicare fra corpo umano e oggetto industriale e la manipolazione artigianale il cui processo tecnico può ricordare una tortura o una perversione. Il trattamento brutale esercitato su una forma conosciuta o il glorificare un oggetto di uso quotidiano è un esercizio mirato a pervertire e decostruire la forma, la funzione, il materiale, il valore e il contenuto della bottiglia.

La quantità esposta fa riferimento al romanzo Le 120 giornate di Sodoma del Marchese De Sade e al film di Pasolini Salò o le 120 giornate di Sodoma. Il totale di bottiglie è diviso in 10 e 12 gruppi nei quali viene trasformata la stessa parte della bottiglia: bocca, collo, torso, “pancia” (voluttuosità), pelle (piercing, tatuaggi, malattie), organi (contenuto), unioni (sesso, orge), armi (visione politica), cosmogonia (concezione dell’universo), religione (pubblicità).

— Damiàn Ortega, "Arte all'Arte VII", 2002

In occasione della VII edizione di Arte all’Arte il curatore Vicente Todolì ha invitato Damián Ortega ad esporre nell’Enopolio di Poggibonsi120 giornate”, variazioni sul tema prodotte su suo progetto dagli artigiani del cristallo locali.

“(…) L'artista trasforma oggetti e situazioni con irriverenza, ma senza ridurre il senso del suo lavoro a una visione unica. Ne emerge così una realtà segnata da uno sguardo ironico e giocoso, capace di creare un corto circuito per cui anche questioni terribilmente serie risultano allo stesso tempo profondamente irrisorie.

Mettendo l'accento sull'inutilità fa sì che affiori un senso altro, un altro piano svincolato dalla logica ristretta della produzione: lo scarto avviene rendendo protagonisti aspetti apparentemente marginali, come nel caso di una recentissima serie fotografica dove l'artista ritrae le piante capaci di crescere ritagliandosi uno spazio vitale tra le fenditure dell'asfalto.

In occasione di Arte all'Arte Ortega ha scelto di confrontarsi con l'immagine nota in tutto il mondo della bottiglia della Coca-Cola, le cui forme sinuose riprendono la silhouette del corpo femminile. Vera e propria icona del mondo dei consumi, tale bottiglia ha attraversato il XX secolo mantenendo intatta la sua popolarità: celebrata o considerata simbolo da abbattere a seconda dei punti di vista, entrata a pieno titolo nell'iconografia dell'arte contemporanea, tra gli esempi più noti le riproduzioni di Andy Warhol e le Inserções em Circuitos Ideológicos dell'artista brasiliano Cildo Meireles, dove l'artista, manipolando le etichette, inseriva un elemento critico all'interno del processo di circolazione delle merci.

Ortega ha esposto il suo lavoro nell'Enopolio di Poggibonsi, posizionando le bottiglie su una mensola composta da assi di legno che scorre lungo i muri e sulle macchine per imbottigliare il vino ancora presenti nello spazio: 120 variazioni sul tema prodotte dall'artista stesso su suo libero progetto e in parte coinvolgendo i suoi collaboratori - i vetrai della fabbrica Vilca - lasciandoli liberi di immaginare ulteriori variazioni. L'artista ci introduce in un universo di forme bizzarre, dove i requisiti standard della produzione industriale contemporanea, la forma riconoscibile che nel tempo è diventata segno di sicurezza e affidabilità per il consumatore, entrano in crisi. Le bottiglie diventano corpi umani e il confronto si concentra sulle relazioni tra il corpo massificato e gli interventi di manipolazione artigianale che include i trattamenti più disparati, dalle pratiche di scarificazione alla tortura.

A partire dal titolo, 120 Giornate, che chiama in causa il mondo letterario di De Sade, Le 120 Giornate di Sodoma, ma anche la trasposizione cinematografica di Pasolini, Ortega presenta un mondo di imprevisti, dove sulle bottiglie/corpo sono state realizzate delle variazioni rispetto al modello originale, con delle distorsioni intese come trasformazioni dell'una o dell'altra parte del corpo: la bocca, il collo, la pelle, gli organi, l'unione, i mostri, il corpo come campo di battaglia.”

Vicente Todolì, “Arte all’Arte VII”, 2002

Altri progetti di Arte all’Arte VII

Credits

Damian Ortega
120 giornate, 2002
120 bottiglie in cristallo / 120 crystal bottles Poggibonsi, Arte all’Arte VII
foto Ela bIalkowska