Gilda Williams e Roberto Pinto , Curators, 2000

Roberto Pinto e Gilda Williams sono i curatori di Arte All’Arte V del 2000

Gilda Williams

La storia degli ultimi quarant'anni circa dell'arte pubblica - quando è uscita dalla galleria; come ha acquisito rilevanza sociale, usabilità e leggibilità; poiché ha acquisito specificità del sito - è in parte la ricerca dell'arte contemporanea per un pubblico d'arte più ampio in primo luogo. L'arte nell'ultimo secolo è sembrata destinata a reclutare solo un pubblico specializzato in diminuzione, un pubblico minuscolo ma reale e informato che conosce, comprende e gode sinceramente dei risultati della nuova arte, in un mondo sempre più massificato. In breve, l'arte è rimasta per molti versi irrimediabilmente obsoleta nell'equazione utente/produttore, funzionando ancora più o meno negli stessi termini di decenni fa. Si occupa di momenti e idee di creazione artistica unici ancora generati, in generale, da singoli individui (i collettivi d'arte, da Group Material a At Club 2000 a N55, rimangono l'eccezione) piuttosto che da società. I multipli e altri oggetti d'arte massicciabili non hanno ottenuto nulla di simile al tipo di ampio accesso del pubblico, per esempio, all'industria musicale, anche con il suo recente spostamento su Internet. Come può dunque sopravvivere l'arte, se non come una pittoresca reliquia di una scala passata, in un mondo di consumatori di massa guidato dalle multinazionali, dalla mentalità globale? L'arte commercia sul contatto diretto in un mondo dove il contatto virtuale è la regola; l'arte prospera sulle relazioni dirette produttore/intermediario/utente (l'artista/il curatore o il gallerista/il pubblico o il collezionista), spesso efficaci solo quando si creano relazioni personali di lunga data, in un mondo di e-commerce impersonale che si estende verso angoli lontani e invisibili del globo. Parla in un linguaggio sottile e non letterale in un mondo che premia l'alta comunicazione e la chiara leggibilità. L'arte è davvero così arretrata, così fuori dal tempo?

Roberto Pinto

Negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, si è intensificato il dibattito sulla cosiddetta public art e su quale tipo di arte debba essere esposta negli spazi condivisi da tutti. Lì si offre un oggetto artistico a un pubblico che non necessariamente ha richiesto quest’incontro e probabilmente neanche lo vuole. E’ un’audience composta da persone che non hanno pagato un biglietto, nè sono andate intenzionalmente a ricercare l’arte dal momento che non si sono recate in uno spazio deputato come la galleria o il museo. Per questo motivo si Ë spesso ragionato su come evitare che líopera si imponga sullo spazio e soprattutto sul contesto, svolgendo invece il suo compito di interagire e collaborare con questo. Anche perchè purtroppo spesso si verifica il caso di opere e interventi nello spazio pubblico pensati e realizzati dagli artisti all’interno dei propri studi senza che intessano alcuna relazione con il territorio che li ospita.

Per rendersi conto di quanto tale pericolo sia concreto è sufficiente rivolgere la nostra attenzione alla stragrande maggioranza dei monumenti e degli interventi realizzati in questo secolo, in tutta Italia. Un enorme patrimonio di sculture che non ha nessuna relazione con la gente, che naturalmente lo rifiuta o, quanto meno, lo ignora. Questa situazione diventa ancora più difficile da accettare se la si confronta con la nostra storia dell’arte, con quello che si vede nelle tante città d’arte italiane, specialmente in quelle più piccole. In questi luoghi ogni oggetto artistico (affresco, scultura o palazzo), anche quello nato per essere posto in un luogo “interno” o “privato”, svolge un’attività pubblica, è un mezzo di comunicazione diretto, parla alle persone, si serve di simboli condivisi e racconta storie che fanno parte del patrimonio comune, religioso o politico. Naturalmente si tratta di storie commissionate dai poteri forti dell’epoca: la chiesa, il re e l’aristocrazia, l’alta borghesia, ma è assolutamente evidente la centralità della relazione con il luogo e le persone che lo abitano. Se si attraversano le città coinvolte da Arte all’arte non si può non rilevare che la compenetrazione tra arte e spazio pubblico è assolutamente reale, concreta, ed è una relazione che cerca un’armonia anche con il paesaggio circostante. Si riceve un’analoga sensazione osservando l’architettura. Anche questa disciplina ha raggiunto una completa sintonia con spirito e dimensioni del luogo anche grazie ad un sapiente utilizzo dei materiali locali, i suoi colori naturali quindi. Edifici che si armonizzano ìnaturalmenteî con le caratteristiche concrete del posto.

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Emanuela de Cecco e Vicente Todoli, Curators, 2002

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J. Sans e P.L. Tazzi, Curators, 2001