Elio Grazioli e Hon Hanru, Curators, 2003

Elio Grazioli

Mi stavo appunto chiedendo se l’arte non andasse di nuovo restituita all’arte dopo tanta dedizione all’extra, quando una telefonata imprevista dell’amico Mario Cristiani mi colpiva al cuore, in tutti i sensi, chiedendomi la disponibilità a curare l’ottava edizione di Arte all’Arte. Il cocuratore straniero sarebbe stato il cinese Hou Hanru. Non ci crederete, ma avevo letto proprio quel mattino una notizia su di lui che aveva attirato la mia attenzione. Certo, un cinese è quello che ci vuole anche per me, un cinese aperto, che conosce e apprezza la situazione internazionale con occhio di chi viene da una cultura che non è quella occidentale cosiddetta. È un’ottima premessa secondo l’impostazione di Arte all’Arte e la necessità attuale di fare i conti con le problematiche extra-occidentali, appunto, che da anni sono al centro dell’attualità dell’arte.

Ma, dunque, l’arte va restituita all’arte? Il gioco di parole vuole solo esprimere la mia personale preoccupazione che negli ultimi tempi, per situazione storica certamente del tutto evidente e comprensibile e per afflato sociale, il “contenuto” in arte rischia di prendere un posto che, a me pare, l’ha sempre portata troppo pericolosamente lontana da se stessa, troppo in subordinazione ad altro. Un conto è fare arte facendo altro, secondo una felice espressione ribaditami anche in quest’occasione da uno degli artisti partecipanti, un conto è fare altro rivendicando di fare arte.

L’arte “relazionale”, la situazione “postcoloniale”, il dibattito sul “ritorno al reale”, la “public art”, l’analisi dello strapotere della comunicazione o la simulazione dei suoi modi sono il contesto non solo estetico disegnatosi negli ultimi anni. L’arte, in generale, sembra in questo senso aver avuto un’urgenza di confronto con il reale così cambiato e dalle urgenze così impellenti. Ma in che senso l’arte può farsene carico? Qual è il punto critico, di sovraccarico, cioè il margine al di là del quale l’arte non appartiene più all’arte?

In questo stesso contesto, a me sembra il caso di mettere a fuoco un altro dato descrittivo della situazione e determinante per illustrare la mia posizione in essa. A me sembra che solo recentemente si sia preso atto di un ulteriore cambiamento, quello per cui, mentre fino a non molto tempo fa dell’arte extra-occidentale, continuiamo a chiamarla genericamente così, si esponeva solo ciò che rientrava in qualche modo negli standard stilistici o problematici dell’arte occidentale, dandone così un’immagine piuttosto imbarazzante e imbarazzata di rincorsa all’aggiornamento, oggi la questione pare piuttosto essersi rovesciata e non solo l’arte extra-occidentale è “matura” e propone del proprio, ma è anzi l’arte occidentale a dover fare i conti con quanto si fa là, senza esotismi né pretese universalistiche. Ora è l’arte che si fa “fuori” a interrogare lo statuto estetico dell’arte, in special modo di quella “occidentale”. In questo senso il rinnovo degli studi antropologici, sociali e storici non è un’invadenza contenutistica nell’ambito dell’arte o una sua uscita alla ricerca di sempre nuovi temi, ma il sintomo di un’interrogazione globale dell’essere occidentale. I fatti extra-artistici peraltro lo dimostrano ancora più efficacemente: il termine “globalizzazione” ha anche questo senso.

In questa prospettiva, anche il dibattito sul monumento, che evidentemente ha a che fare con Arte all’Arte, subisce una vistosa virata: ad essere messo in discussione non è tanto l’aspetto commemorativo – che comunque acquista un senso a sua volta più “antropologico” di bisogno di ricordare ciò che ha fondato lo stare degli uomini, di quegli uomini sul loro territorio –, né tanto quello celebrativo – di cui comunque vengono messe a nudo, “decostruite” come si dice oggi, le componenti ideologiche e le contraddizioni nascoste –, quanto quello di esibizione muscolare delle dimensioni di un’arte che così si propone come dominante e dominatrice, che pretende di schiacciare con l’evidenza ogni interesse diverso, ogni differenza. Non solo: vogliamo semplicemente mettere nelle nostre piazze o nel paesaggio dei monumenti d’arte contemporanea invece che di quella antica, o di un tipo d’arte contemporanea invece che di un altro? L’arte non è diventata “contemporanea” proprio criticando queste questioni?

D’altro canto, come non guardare con un minimo di sospetto anche il lato turistico e idilliaco di una parte di queste manifestazioni o installazioni? Non ce l’ho con il turismo, sia chiaro, né con l’idillio, dei quali anzi conservo la visione tranquilla di un John Cage che li legava auspicando un atteggiamento simile nei confronti della vita stessa, cioè una disponibilità ricettiva sempre attiva, un “ascolto”. Ma che l’arte si “integri” in questo modo non nel paesaggio ma, potremmo dire, nelle aspettative psicologiche del pubblico, in senso qui sì generico, globalizzante, mi suona strano, mi sembra attutire troppo, fino a renderla invisibile, la vocazione critica che l’arte ha sempre avuto, l’aspetto pungente della sua presenza, del suo fare “punctum” là dove si situa.

Hon Hanru

Arte All’Arte rappresenta da qualche anno uno degli eventi più significativi nel panorama espositivo italiano. Si distingue da altri eventi artistici anche di maggior rilievo, come la Biennale di Venezia, non solo in virtù della fisicità delle creazioni,  dislocate al di fuori dei convenzionali spazi espositivi ma soprattutto per il coinvolgimento diretto nella realtà locale, sia geografica che sociale, della regione Toscana. Giunto alla sua ottava edizione, l’evento, frutto degli immensi e tenaci sforzi dell’Associazione Arte Continua, sta entrando ora nella sua fase più matura. Questa raggiunta maturità è evidente nel profondo coinvolgimento e nell’impegno dimostrato dagli organizzatori e, naturalmente, dagli artisti, nei confronti della realtà e degli interessi locali e, allo stesso tempo, elemento altrettanto rilevante, nell’ingegnosità dell’ideazione e della realizzazione di progetti artistici creati espressamente per quella situazione. 

L’insieme degli artisti che quest’anno partecipano all’evento offre senza dubbio una combinazione estremamente fresca e originale, che coinvolge persone provenienti da paesi e culture diversi. Questi artisti spesso incarnano singolari esperienze di globalizzazione ma sono al contempo profondamente impegnati nelle specifiche realtà locali, di cui offrono letture innovative e proposte creative. Sarkis, di discendenza armena, è nato a Istanbul, vive a Parigi da trent’anni e ha viaggiato e lavorato in tutto il mondo. Jimmie Durham, un “indiano d’America” Cherokee, vive ora a Berlino e lavora ovunque per “sfuggire” alla “centralizzazione imperialista”. Emilio Prini, figura quasi mitica della generazione dell’Arte Povera, riemerge da dietro le quinte. Marjetica Potrc è una “terzomondista” slovena che ha esplorato diverse condizioni urbane “glocali”, specialmente al di fuori dell’Occidente. Wang Du, di nazionalità cinese e residente a Parigi, espone in tutto il mondo e sta progressivamente focalizzando il proprio lavoro sulle diverse realtà locali, mentre il suo interesse principale evolve attraverso un tema più globale: la riflessione sul potere dei mezzi di comunicazione. Eko Prawoto, architetto indonesiano che vive a Giacarta ma si è formato in Europa, fonda il suo impegno sociale sull’invocazione di progressi ecologici e culturali come passo ulteriore nella lunga marcia per il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali e sulla rivalutazione di tecnologie tradizionali e alternative. Gli artisti sopracitati hanno fatto sì che i progetti più diversi e stimolanti si incontrassero e dialogassero con le società locali e con lo scenario naturale delle sei città coinvolte nell’evento: San Gimignano, Siena, Colle di Val d’Elsa, Montalcino, Buonconvento e Poggibonsi. 

È fondamentale sottolineare gli sforzi considerevoli che questi artisti hanno compiuto per introdurre importanti cambiamenti nella nozione di arte pubblica. Questi sforzi rappresentano la tendenza più significativa dei nostri tempi, vale a dire il rinnovato coinvolgimento di progetti artistici e dimensione pubblica, di realtà sociali e ambientali.

Tradizionalmente, arte pubblica significa innanzitutto monumenti dedicati a personaggi famosi, dagli eroi nazionali a celebrità del mondo della cultura e della politica,  oppure eventi di portata locale o nazionale, quali guerre, dichiarazioni d’indipendenza e così via. E, inoltre, immagini simboliche,  figure decorative e forme che riflettono il panorama culturale o le condizioni naturali del luogo, ecc. Nell’ultimo quarto del ventesimo secolo, abbiamo assistito anche all’apparizione di sculture e installazioni di più ampia scala sotto il vessillo della Land Art, come estensione del movimento concettuale. Questo ha senza dubbio ampliato lo spazio artistico per nuove sperimentazioni avvicinando le invenzioni artistiche alla realtà immediata. Nell’ultima decade, l’arte contemporanea ha attraversato alcuni cambiamenti estremamente interessanti e impegnativi. Suggerendo alcuni principi, nel senso di ristabilire una stretta relazione tra arte contemporanea e vita reale, affermati da movimenti precedenti quali Situazionismo, Fluxus o arte concettuale, molti artisti stanno oggigiorno sviluppando delle strategie per portare l’arte fuori dagli spazi museali e dalle gallerie così da fonderla nel quotidiano. La relazione interattiva tra l’artista, l’opera e il pubblico è ora al centro dell’interesse intellettuale e perfino politico di molti artisti. Le loro creazioni diventano sempre più aperte al dialogo con il pubblico, mentre formalmente sono sempre più legate alla realtà locale, collegando quindi arte, architettura e progettazione urbana. D’altro canto, ciò include anche un’ampia porzione di elementi “immateriali”. Questo induce uno spostamento fondamentale dalla natura relativamente “metafisica” della Land Art e introduce una rilevante dose di elementi sociologici, culturali e perfino politici, assumendo spesso un certo tipo di posizioni progressiste. Al contempo, l’arte pubblica contemporanea, in quanto parte della scena sempre più “multiculturalizzata” dell’arte globale, viene reinventata dai nuovi contributi di artisti che si collocano al di là dei centri internazionali tradizionali, nella fattispecie occidentali. Gradualmente l’arte contemporanea viene quindi ricondotta verso il fronte della realtà sociale ed è, direttamente o indirettamente, legata all’attivismo sociale, culturale, politico ed ecologista. 

L’invenzione e il continuo sviluppo  di Arte All’Arte rappresenta, tra progetti della stessa natura presenti in ogni parte del mondo, uno dei casi più esemplari di questa tendenza. Concepito da un gruppo di attivisti che considerano l’arte un mezzo efficace per migliorare il significato esistenziale della vita locale in Toscana, l’evento annuale intende attingere dalla realtà artistica internazionale provocazioni e nuove ispirazioni nei confronti di luoghi comuni storicizzati legati all’immagine di uno dei crogiuoli più importanti della cultura europea fin dal Rinascimento. Affrontando una realtà odierna all’insegna della globalizzazione e del cambiamento (spesso regressivo) delle condizioni naturali, Arte All’Arte viene organizzata per rivitalizzare la vita culturale della regione sottolineando ancora una volta l’importanza dell’immaginazione artistica e dei valori spirituali appartenenti a diverse regioni del mondo. Tuttavia, al di là di facili provocazioni, Arte All’Arte incarna le più significative strategie di intervento nella realtà culturale e sociale della regione: l’armonia costituisce il cuore dell’evento. Allo stesso tempo, questa specifica armonia implica inevitabilmente un necessario senso critico. Nella presente edizione, questo tipo di strategie viene articolato in maniera particolareggiata nei progetti dei singoli artisti.

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Florian Matzner & Angela Vettese, Curators, 1998-1999

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Emanuela de Cecco e Vicente Todoli, Curators, 2002