Alberi in versi
tratto da Galleria degli Uffizi
'Alberi in versi’ è ispirata alla simbologia vegetale di un celebre verso del Paradiso nella Divina Commedia
L'"albero che vive della cima" (Divina Commedia, Paradiso, 18: 28-30) è la metafora guida di Alberi in versi, mostra dell’artista Giuseppe Penone nella Galleria degli Uffizi di Firenze dal 6 luglio al 3 ottobre. Si tratta di oltre trenta opere, tra sculture, installazioni, disegni e incisioni, disseminate lungo il percorso della Galleria. Oltre a costituire un omaggio al Sommo Poeta nei settecento anni dalla morte, esse ripercorrono anche i temi centrali dell’opera dell’artista.
Forma essenziale e necessaria, l’albero è da sempre per Penone archetipo della scultura e insieme materia viva, simile a quella del corpo umano. Allo stesso tempo l’artista ha scelto le piante come comune denominatore di un’indagine sul rapporto ambivalente tra interno-esterno, positivo-negativo, umano-vegetale, arte-natura.
Al principio di “inverso” sono strettamente legate anche le tecniche utilizzate dall’artista, il calco e l'impronta: questi processi implicano infatti il contatto, grazie al quale corpi e materie differenti si scambiano forma e sostanza, in una continuità senza gerarchie tra umano e non umano.
Il percorso della mostra, scelto dall’artista stesso, inizia con opere della fine degli anni Sessanta.
In Continuerà a crescere tranne che in quel punto (1968-1978) è già presente il tema del rapporto uomo-natura e del concetto di tempo dichiarato nella scultura attraverso espedienti figurativi. Un esempio paradigmatico dell'inverso, lo specchio, è al centro di Rovesciare i propri occhi (1970), dove il visibile si arresta sulla soglia dello sguardo dell'artista, riflesso sui suoi occhi resi temporaneamente ciechi da lenti specchianti.
Penone conferisce al disegno il linguaggio della scultura: i suoi elementi costituivi sono infatti pressione, materia, mutamento, come accade anche nel frottage di 15 metri Persone e Anni (2020), qui esposto per la prima volta. Alla ‘scrittura del bosco’ – ovvero l'impronta di un grande albero realizzata per sfregamento delle foglie su una tela di lino appoggiata sul tronco - fa da controcanto un testo dell’artista stesso, quasi un lungo poema "in versi".
Anche la pelle è organo di contatto per eccellenza, è lo spazio dove si generano in forma di impronta le più democratiche tra le immagini, che tutti producono e che riconducono l’uomo alla materia e alla natura, come quelle trasformate in mappe sensoriali i cui punti nevralgici si rovesciano verso lo spettatore nelle grandi Spine d'acacia (2006-2014).
Ancora il tema dell'epidermide offre l’occasione di mettere l’opera di Penone in dialogo due statue dell’antichità romana che si trovano all’inizio del corridoio di Ponente degli Uffizi, raffiguranti ciascuna Marsia scorticato: privato della pelle il corpo perde ogni confine, mentre la pelle svuotata del corpo diventa spazio virtuale. Vicino ad esse l'artista ha voluto collocare Pensieri di foglie (2014) dove, con allusione alla somiglianza tra esseri umani e mondo vegetale, un'immagine antropomorfa è coperta da un abito di foglie che la avvolge come un manto. Si veste di un abito mitologico anche la grande scultura in bronzo intitolata Artemide (2019): un doppio calco di un albero che mostra insieme l'interno e l'esterno, il vuoto e il pieno, con protuberanze simili a mammelle, come nell’Artemide di Efeso, cui in effetti fa riferimento il titolo. Con l'installazione Respirare l'ombra (2000) Penone racconta lo spazio che attraverso il respiro riempie e plasma il nostro corpo e che è oggetto di un continuo scambio con l'ambiente esterno. Alla complementarietà tra fotosintesi delle piante e respirazione umana rimanda infatti il polmone di foglie in bronzo dorato posto tra le gabbie che rivestono le pareti, ad un’altezza pari a quella del polmone umano. Un'altra metafora poetica si riconosce in Soffio di foglie (1979) dove al negativo dell'impronta del corpo e alla traccia lasciata dal respiro dell'artista su un cumulo di foglie di bosso fa eco, al centro della sala, il positivo del corpo dell'Ermafrodito adagiato supino su un cuscino, simbolo della compresenza degli opposti.
La mostra si rivolge anche alla città e all’esterno del museo, in piazza Signoria, con Abete, monumentale installazione di acciaio e bronzo di oltre 22 metri, inaugurata, quale anticipo dell’esposizione stessa lo scorso 25 marzo, in occasione del Dantedì.