“Il progetto consiste nell’alterazione di centoventi bottiglie di Coca Cola, trasformate una ad una nel laboratorio di modellatura del cristallo ‘Vilca’ di Colle di Val d’Elsa, in Toscana.
La scelta della bottiglia risponde, a parte la familiarità e l’omogeneità che si ha con la sua forma in tutto il mondo, al fatto che implica una serie di postulati di marketing come un prodotto che reca fiducia per la sua stabilità, igiene, continuità, distribuzione, etc.
Un altro aspetto d’interesse sta anche nella tradizionale associazione tra la forma della bottiglia e il corpo femminile.
Il processo di deformazione attuato in maniera artigianale su ogni bottiglia conferisce a queste un carattere di irregolarità e soggettività.
Un aspetto fondamentale del lavoro è stato che gli artigiani hanno potuto improvvisare e portare delle soluzioni a ogni bottiglia, grazie alla loro esperienza, abilità e conoscenza del materiale.
Mi interessa la relazione che la bottiglia può implicare fra corpo umano e oggetto industriale e la manipolazione artigianale il cui processo tecnico può ricordare una tortura o una perversione. Il trattamento brutale esercitato su una forma conosciuta o il glorificare un oggetto di uso quotidiano è un esercizio mirato a pervertire e decostruire la forma, la funzione, il materiale, il valore e il contenuto della bottiglia.
La quantità esposta fa riferimento al romanzo Le 120 giornate di Sodoma del Marchese De Sade e al film di Pasolini Salò o le 120 giornate di Sodoma. Il totale di bottiglie è diviso in 10 e 12 gruppi nei quali viene trasformata la stessa parte della bottiglia: bocca, collo, torso, “pancia” (voluttuosità), pelle (piercing, tatuaggi, malattie), organi (contenuto), unioni (sesso, orge), armi (visione politica), cosmogonia (concezione dell’universo), religione (pubblicità).
”
— Damiàn Ortega, “Arte all’Arte VII”, 2002