In occasione della VI edizione di Arte all’Arte la curatrice Emanuela de Cecco ha chiamato a partecipare Mirosław Bałka nel cortile dell’ex carcere di San Domenico a San Gimignano.
“Il lavoro di Miroslaw Balka (Otwock, Polonia, 1958) nasce, come tutti i lavori dell’artista polacco, da una relazione densa con le connotazioni del luogo che la ospita. Se le mura del cortile dell’ex carcere di San Domenico a San Gimignano potessero parlare, ci racconterebbero infatti storie di ogni genere, i desideri compressi, le angosce, i pensieri quotidiani dei detenuti che, nel corso di secoli, vi hanno trascorso le ore d’aria, tutte uguali, per anni.
Con 12 x (ø 100 x 44) / time servants, l’artista da un lato evoca le presenze degli abitanti che, costretti in questo luogo, vi hanno trascorso un tempo dove i giorni, i mesi e gli anni sono scanditi dalla ripetizione indifferente, dove i fantasmi del passato e del futuro diventano inevitabilmente i compagni di strada più fedeli; dall’altro, mette in scena un discorso più ampio che trascende la relazione con il luogo e le connotazioni storiche connesse, per trasformarsi in una riflessione poetica sullo scorrere del tempo e sulla dimensione esistenziale in esso implicita.
Il lavoro di Balka si compone di 12 sedute realizzate con legno usato e posizionate su altrettante basi circolari che si muovono lentamente su se stesse attorno al pozzo centrale preesistente. Accanto a ogni seduta, non esattamente confortevole, è disposto un vaso in alabastro, bianco come la base e contenente una pianta di ortica. Il silenzio del luogo è rotto dal sottofondo ipnotico prodotto dalla caduta dell’acqua della doccia riattivata dall’artista. Il pubblico è implicitamente invitato a sedersi sulle sedie e a lasciarsi andare al ritmo lento della rotazione: chiunque si avvicina è la presenza mancante, pronta a essere accolta sulla seduta vuota.
Sottolineando il vuoto prodotto dall’assenza, l’artista mette l’accento sulla percezione del tempo soggettiva. Ecco dunque che essere liberi o reclusi non riguarda unicamente la condizione esplicita vissuta dai carcerati, ma assume una connotazione con la quale ogni essere umano si trova quotidianamente a fare i conti e che, per esempio, emerge in tutta la sua evidenza ogni volta che, di fronte a una scelta, entriamo in un confronto, spesso doloroso, con le mura che noi stessi costruiamo dall’interno.
L’attitudine a rielaborare le memorie personali, il rapporto col corpo, l’attenzione alle relazioni tra l’opera e lo spazio che la contiene, sono elementi centrali nel lavoro dell’artista sin dagli esordi. (…)”
Emanuela de Cecco, “Arte all’Arte VII”, 2002