Dal catalogo Arte all’Arte X del 2005
Il fascino della Toscana è discreto, misurato, raffinato. L’alto e il basso si sono sempre influenzati reciprocamente, almeno dalla fine del Medioevo. Non è un caso che l’idea di umanesimo abbia preso forma proprio qui: il mondo si può spiegare partendo dalle potenzialità e capacità umane, in competizione con la natura e con ogni dimensione metafisica. L’essere umano diventa così il tramite necessario tra ciò che sta in basso e ciò che, presumibilmente, si eleva verso l’alto.
L’orto…
la finestra di fronte…
l’angolo necessario…
o la sua luce trasparente – un tempo, un pozzo di luce era un fuoco.
La ragione, nonostante le sue dimensioni modeste, comprende ambiti molto diversi, per i quali è necessario trovare un elemento unificante, ciò che poi genera la mitologia del luogo. Possiamo chiamarlo il rapporto armonioso tra natura e cultura?
L’arte moderna, nella sua specificità, è uno dei prodotti più elevati della civiltà occidentale, un modello di percezione e di relazione con il mondo e la vita. Allo stesso tempo, è un’arte eminentemente urbana e civile, forse già a partire da Giotto, fino ai nostri eroi dell’arte moderna. Tuttavia, è la dimensione rurale a caratterizzare la storia del paesaggio toscano, dai Granduchi fino agli anni ’60. Questa tradizione continua ancora oggi con sviluppi economici significativi, come l’agriturismo e la produzione vinicola, veri successi contemporanei.
L’ambiente rurale sembra quindi estraneo all’arte moderna, soprattutto nella sua declinazione contemporanea. Inoltre, l’evoluzione dell’arte rinascimentale fino a tempi recenti è sempre stata un fenomeno interiore. Solo quando gli artisti hanno percepito i sintomi della crisi della cultura occidentale – a cui sentono di appartenere – hanno compreso che la loro pratica non era più adeguata per interpretare e rappresentare il mondo. È allora che hanno cercato di riappropriarsi dello spazio concreto, in contrapposizione allo spazio immaginario che la cultura dominante gli aveva storicamente assegnato, e si sono spinti verso l’esterno.
Il progetto Arte all’Arte si inserisce in questo contesto, e la Toscana rurale e mitica è lo spazio ideale per questa impresa. Nel Decameron, Giovanni Boccaccio fa fuggire i suoi narratori – gli artisti, in altre parole – dalla città devastata dalla peste per rifugiarsi in una villa, dove si intrattengono raccontandosi le infinite storie del mondo.
Fin dal suo inizio nel 1997, Arte all’Arte si è sviluppato all’interno della mitologia del territorio, partendo – non a caso – da San Gimignano, suo emblema nel bene e nel male. Poi, nel settembre 2001, Jérôme e io abbiamo introdotto le voci esterne, partendo però da quelle interne, iniziando con Kounellis: il pozzo, riempito di occhiali, macchine per vedere, che sprofondano in un pozzo senza fondo.
E poi c’era Marina:
nel padiglione intitolato a Charcot nell’ex ospedale psichiatrico di Volterra; i topolini attratti dal mambo italiano su una piattaforma, rallentati da un tapis roulant.
Infine, le vere voci esterne:
il santuario di Nari Ward accanto all’inceneritore; il muro di Cai; l’affresco nel vento di Tayou; la fantasmagoria da mille lire dell’arte di Surasi Kusolwong, destinata a disperdersi nelle case delle persone e a scomparire, consumata nella vita quotidiana di ognuno.
Così Jérôme e io abbiamo lasciato le cose, e da lì in poi è iniziata un’altra storia, con altre voci, altri muri, altre canzoni.
Musica, maestro!
Pier Luigi Tazzi